Il concetto di dieta mediterranea è stato introdotto negli anni ’50 dello scorso secolo dal fisiologo americano Ancel Benjamin Keys.
Keys per primo identificò la relazione tra dieta e insorgenza delle malattie cardiovascolari o CVD, in particolare grazie allo studio epidemiologico noto come Seven Countries Study, il primo studio a evidenziare questo modello alimentare.
La dieta mediterranea, che è riconosciuta come uno dei modelli alimentari più sani, è ricca di alimenti vegetali minimamente lavorati, quali verdure, legumi, cereali, meglio se integrali, con l’olio di oliva extravergine come principale fonte di lipidi. Quindi è un modello nutrizionale ricco in sostanze antiossidanti e con azione antiinfiammatoria.
Dopo lo Studio di Keys, molti altri gruppi di ricerca hanno evidenziato, in popolazioni appartenenti a paesi industrializzati e non, il ruolo protettivo di questo tipo di alimentazione non solo nei confronti della CVD, ma anche di malattie cronico-degenerative, dei disturbi depressivi, nonché una correlazione con miglioramenti sulla capacità di apprendimento. Ed è stato dimostrato che una maggiore aderenza alla dieta mediterranea è associata al miglioramento dello stato di salute e alla riduzione della mortalità in generale
Per tutto questo, non esiste associazione scientifica che sostenga la tesi secondo cui sia dannosa per la nostra salute.
In aggiunta, grazie al suo ridotto consumo di carni, è in grado di migliorare la salute pubblica anche concorrendo alla riduzione delle emissione dei gas serra.
In definitiva, la dieta mediterranea rappresenta un tipo di alimentazione che deve essere salvaguardata e promossa, in contrapposizione al trend mondiale verso una uniformità dietetica che sta avanzando anche nei paesi del bacino mediterraneo.
Indice
- Ancel Keys e il Seven Countries Study
- Caratteristiche della dieta mediterranea
- Dieta mediterranea e malattie croniche
- Ruolo nella riduzione dei gas serra
- Bibliografia
Ancel Keys e il Seven Countries Study
Keys individuò la correlazione tra dieta e il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari nei primi anni ’50 del secolo scorso confrontando i tassi di insorgenza di CVD tra dirigenti aziendali americani e popolazioni europee appena uscite dalla seconda guerra mondiali. Mentre tra i primi, soggetti ben nutriti, i tassi di insorgenza erano elevati, nei secondi, che invece si trovavano in una fase di indigenza alimentare, i tassi di insorgenza di CVD erano bassi. Queste osservazioni portarono Keys a ipotizzare una correlazione tra il contenuto di grassi nella dieta e i decessi per malattie cardiovascolari.
La successiva osservazione di una frequenza estremamente bassa di malattie coronariche e certi tipi di tumore nella popolazione dell’isola di Creta, in molta della restante popolazione greca e in quella del sud dell’Italia rispetto a quanto osservato negli USA, portò Keys a ipotizzare che l’alimentazione di quelle popolazioni, caratterizzata da un basso contenuto di grassi di origine animale, costituisse un fattore di protezione.
Il passo successivo fu l’avvio di quello che sarà conosciuto come il Seven Countries Study, uno studio epidemiologico osservazionale a lungo termine, ben 25 anni, e lo studio più conosciuto sulla dieta mediterranea, nel quale fu osservata una correlazione inversa tra la dieta e il rischio di morte generale e legata a malattie cardiovascolari. Lo Studio mostrò che i grassi saturi sono il principale fattore di rischio dietetico e che seguire un’alimentazione di tipo mediterraneo portava a un riduzione del rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari.
Caratteristiche della dieta mediterranea
La dieta mediterranea è un modello nutrizionale caratterizzato dal consumo prevalente di cibi di origine vegetale quali legumi, verdure, cereali integrali e olio extravergine d’oliva, il che assicura un buon apporto di fibre, antiossidanti, fitosteroli, polifenoli e acidi grassi insaturi.
Per quanto riguarda i prodotti di origine animale, il consumo di carne, in particolare carne rossa e prodotti derivati, nonché di prodotti caseari ad alto contenuto di grassi dovrebbe essere limitato, mentre dovrebbero essere presenti pesci e frutti di mare.
Il consumo di etanolo dovrebbe essere moderato, da assumersi con il vino rosso durante i pasti.
E tra i greci che hanno partecipato allo studio EPIC, l’olio extravergine di oliva, le verdure, i legumi, un modesto apporto di etanolo, assieme a un basso consumo di carne e derivati sono risultati predittori di una minore mortalità.
Pietra angolare della dieta mediterranea è l’olio extravergine di oliva. Da utilizzarsi preferibilmente crudo, è un’ottima fonte di acidi grassi monoinsaturi e contiene oltre 2000 diverse molecole, molte con attività antiossidante.
E’ tuttavia fuorviante focalizzare l’attenzione su un singolo componente della dieta mediterranea; non esiste il “proiettile magico”, come mostrato da studi che si sono concentrati su un unico nutriente. Le persone non mangiano un singolo e isolato nutriente, ma un complesso di nutrienti e, cosa ancora più importante, i nutrienti interagiscono tra di loro in modo sinergistico o antagonistico. Quindi, i benefici per la salute apportati dalla dieta mediterranea sono dovuti a tutti i suoi componenti.
Dieta mediterranea e malattie croniche
Dopo il Seven Countries Study numerosissimi studi hanno dimostrato l’efficacia di questo modello nutrizionale nella prevenzione sia primaria che secondaria delle principali malattie croniche, dalle malattie cardiovascolari ai disturbi depressivi, nonché una riduzione della mortalità generale.
Di seguito alcuni esempi tra i moltissimi disponibili tra le pubblicazioni scientifiche.
- Una meta-analisi ha analizzato l’associazione tra l’aderenza alla dieta mediterranea, mortalità, e incidenza di malattie dimostrando che “la maggiore aderenza alla dieta mediterranea è associata in modo significativo con una riduzione della mortalità generale, mortalità cardiovascolare, incidenza e mortalità per cancro, e incidenza del morbo di Parkinson.”
- Uno studio multicentrico randomizzato ha dimostrato l’efficacia nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari in soggetti ad alto rischio cardiovascolare.
- E’ correlata sia a un minor rischio di morbo di Alzheimer che con il suo decorso e i suoi esiti: la maggior aderenza è associata con una minore mortalità e si suggerisce un effetto dose-risposta.
- Ci sono prove crescenti che indicano un effetto protettivo sull’aumento di peso.
- E’ stata riporta un’associazione inversa tra l’aderenza a queste abitudini dietetiche e l’incidenza del diabete di tipo 2 tra soggetti inizialmente in salute e in pazienti sopravvissuti a un infarto miocardico.
- E’ associata a una minor prevalenza della sindrome metabolica.
- Studi epidemiologici e di intervento hanno rivelato un effetto protettivo nei confronti dell’infiammazione cronica lieve e delle sue complicanze metaboliche.
- Ci sono prove che l’aderenza al modello della dieta mediterranea possa avere un potenziale ruolo protettivo per quanto riguarda la prevenzione dei disturbi depressivi.
Ruolo nella riduzione dei gas serra
La dieta mediterranea è in grado di migliorare la salute pubblica anche concorrendo alla riduzione dell’emissione dei gas serra, ossia anidride carbonica o CO2, metano, ossido di azoto e simili, provenienti dal settore zootecnico, responsabile dei 4/5 delle emissioni legate all’agricoltura. Queste emissioni sono maggiori di quelle dovute ai trasporti, e seconde solo a quelle derivanti dalla produzione di energia. Se a questo si aggiunge che la popolazione mondiale sta crescendo, e tale crescita è accompagnata da un aumento del consumo pro capite di carne, con stime secondo cui entro il 2030 si avrà un incremento della produzione di carne dell’85% rispetto al 2000, il ruolo della dieta mediterranea nei confronti della riduzione dell’emissione dei gas serra diviene ancora più evidente.
Analizzando nel dettaglio i gas serra derivanti dall’allevamento bovino, il maggiore responsabile dell’emissione nel comparto zootecnico, questi derivano come di seguito indicato:
- 40% dalla perdita di piante annuali, erbe e alberi che ricoprirebbero il terreno dove si coltiva il foraggio;
- 32% dalle emissioni di metano da parte dei rifiuti animali e dagli animali stessi;
- 14% dai fertilizzanti per la coltivazione dei cereali da foraggio, di cui ne sono necessari 16 chili per chilo di carne consumata;
- 14% dalla produzione agricola generale.
Nel figura sono confrontate le emissioni di CO2 dovute alla produzione di diversi cibi, considerando porzioni da 225 g, con quelle rilasciate da una macchina a benzina che fa circa 12 chilometri con un litro.
Alimenti | Distanza | Grammi di CO2 equivalente |
Patate | 300 metri | 59 |
Mele | 320 metri | 68 |
Asparagi | 440 metri | 91 |
Pollo | 1,17 chilometri | 249 |
Maiale | 4,1 chilometri | 862 |
Manzo | 15,8 chilometri | 3360 |
Quindi produrre 225 grammi di carne di manzo porta al rilascio di una quantità di gas serra quasi 13 volte maggiore di quella rilasciata a seguito della produzione di una eguale quantità di pollo e addirittura 57 volte maggiore se consideriamo le patate.
Per fare un altro esempio produrre i 41 chili di carne bovina consumata annualmente dallo statunitense medio genera la stessa quantità di CO2 di un’automobile che percorra 3000 chilometri.
Bibliografia
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